Il cd d'esordio del trio, che ricorda il malessere
dei Joy Division, è volato al primo posto in una settimana
White Lies, il rock disperato
è fenomeno da psicanalisi
White Lies, il rock disperato è fenomeno da psicanalisi
White Lies
di GIUSEPPE VIDETTI
ROMA - C'è chi sborsa milioni per un numero uno. Pubblicità, complesse operazioni di marketing, partecipazioni a reality e talk show, passaggi radiofonici, spot televisivi. Poi arrivano tre ragazzi di Londra di appena vent'anni, pubblicano in sordina (il 19 gennaio 2009) un cd e la settimana dopo sono primi in classifica, prontamente scritturati dallo stesso management di Franz Ferdinand e Kaiser Chiefs. Cos'hanno di speciale i White Lies? Poco o niente. Cioè moltissimo. Fanno il contrario di quel che fanno tutti. Si rivolgono alla loro generazione, e degli altri se ne fregano. Il loro rock, imparentato col post-punk dei Joy Division, parla l'unica lingua comprensibile ai figli della recessione, l'incertezza. To lose my life... (il titolo dell'album che esce in Italia il 6 marzo: Perdere la mia vita) terrorizza i genitori e appassiona gli strizzacervelli. Gli editorialisti britannici strillano "si riaccende la love story tra pop e morte" - che in realtà non si è mai spenta - ponendo l'accento sui testi che lasciano intuire una sorta di patologica e contagiosa depressione.
Qui non si tratta dell'efferato cabaret di Marilyn Manson, delle orribili maschere degli Iron Maiden o della temibile pletora di metallari satanici. E neanche del dark morboso di Cure e Siouxsie o del gothic casereccio dei Tokio Hotel. I White Lies - per questo il paragone con i Joy Division non solo è calzante, ma inevitabile - raccontano con una poesia languida e ripetitiva (sottolineata da una musica fortemente evocativa tutta synth e chitarra) lo sconcerto dell'adolescente di fronte all'inevitabile. Quando Harry McVeigh, frontman del gruppo, nel brano intitolato Death (Morte) canta Immagino la mia tomba, la paura si è impadronita di me, sperando di andarsene congiuntamente alla sua amata perché tutto deve essere amore o morte, la mente corre con un brivido a Ian Curtis, mitico leader dei Joy Division che s'impiccò a 23 anni nella cucina di casa (la sua storia di tormentato e geniale depresso cronico è ben raccontata nel film Control, presentato due anni fa a Cannes da Anton Corbijn). "È un fenomeno tutt'altro che allarmante", dice Massimo Canevacci, docente di Antropologia culturale nella facoltà di Scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma. "La rimozione della morte, tipica dell'età adulta, non interessa gli adolescenti, che sperimentano sempre più precocemente la relazione tra erotismo e morte. Che, in un periodo di turbamenti e disperazione, viene sublimata in una dimensione musicale o di stile, come nel caso dell'abbigliamento dei dark".
Accarezzare la morte non è un luogo poetico nuovo per il rock. Già nel 1967, in The end, Jim Morrison dei Doors cantava Questa è la fine, mia amica bellissima. Faceva venir la pelle d'oca quando poi continuava, veemente e persuasivo, spavaldo persino: Puoi immaginare come sarà, assolutamente libera e senza limiti, disperatamente alla ricerca della mano di uno straniero, in una terra disperata. Era una canzone che non assomigliava a nessuna delle death songs ascoltate fino a quel momento, un elogio della morte ben diverso, ad esempio, da St. James Infirmary, capolavoro del jazz già nel 1928 interpretato da Armstrong, in cui l'amato piange la sua donna all'obitorio (come in Tears from heaven Eric Clapton ricorda il suo bambino morto, in Goodbye my lover James Blunt dice addio alla compagna e nella recentissima The last Carnival Bruce Springsteen celebra Danny Federici, scomparso tastierista della E Street Band). Morrison, come i Joy Division, che disperatamente dibattevano il tema dell'incomunicabilità in Love will tear us apart (L'amore ci dividerà), flirtava con la morte, quasi a esorcizzare quella paura incontrollabile che Charles Cave, il bassista dei White Lies, racconta di avere dall'età di sette anni. Una delle progenitrici di queste canzoni è My death (traduzione inglese de La mort di Jacques Brel) di Scott Walker, che Bowie riprese nel tour di Ziggy Stardust: La morte mi aspetta come una verità biblica al funerale della mia adolescenza; la morte mi aspetta in mezzo ai fiori, in agguato tra le ombre più oscure...
Il brano dei White Lies che più ha messo in allarme i genitori è Unfinished business, dove il protagonista è un fantasma che cerca di consolare la sua amata. È stata lei, si scopre negli ultimi versi, a recidergli la giugulare con un paio di forbici (inevitabile il riferimento alle Murder ballads di Nick Cave, che non ha nessun grado di parentela con Charles, ma è stato uno dei primi vip, insieme a Morrissey e Mark Ronson, ad accorrere ai loro concerti). Il fenomenale passaparola di adolescenti che si è scatenato intorno ai White Lies, attraverso MySpace, YouTube e un'infinità di blog, ha a che fare con i temi trattati dalle canzoni: l'incontrollabile paura dell'ineluttabile, l'incertezza del futuro, l'ossessione di perdere l'amato bene. Il brano To lose my life insieme all'idea dell'amore accarezza quella del suicidio: Morire o perdere l'amore, questo è l'incubo da cui sto fuggendo. Dobbiamo crescere insieme e morire insieme.
Rigorosa divisa nera, carnagione pallida, sguardo fisso e allucinato; i paesaggi dei clip dei White Lies sono spogli e desolati. "Non vogliamo essere giudicati per come vestiamo", dice Charles Cave, che scrive i testi di tutte le canzoni. "Il nero è un colore che si addice alla nostra musica. I giornalisti hanno scritto che sono un'anima tormentata. Non sono sicuro che questa sia la giusta definizione. È vero che questo disco esprime un pessimismo profondo, che però è solo uno dei lati della mia personalità". È l'inizio di un fenomeno. Anja Plaschg, 18enne austriaca che ha adottato lo pseudonimo di Soap & Skin e sembra uscita da un quadro preraffaellita, è già stata salutata come la nuova Nico (la musa teutonica dei Velvet Underground), anche se il suo cd d'esordio (Lovetune for Vacuum) sarà pubblicato solo a primavera. Più inafferrabile di Björk, più disturbata di Sinéad O'Connor, canta con un filo di voce canzoni dai testi oscuri e allarmanti. Quasi 600mila contatti su MySpace. Il brano più gettonato: Marche funèbre.
(14 febbraio 2009)
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